La piccola grande rivoluzione dell’educazione ambientale

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Spesso, da educatrice ambientale, mi sono chiesta in cosa consistesse infine il mio lavoro, quale fosse il suo senso più profondo e, alla fine, ho capito che ciò che facciamo è semplicemente (si fa per dire) restituire umanità alle persone, nel senso di ricondurle alla loro condizione più umana, quella legata alla natura e al mondo, quella in cui le relazioni (intra e interspecifiche ma anche con tutto ciò che costituisce il nostro ambiente) hanno un’importanza primaria perché ci permettono di vivere e di vivere bene, quella in cui esiste il gruppo, perché da animali intrinsecamente sociali è solo nel gruppo che troviamo il nostro significato e la nostra realizzazione. Specialmente quando i nostri interlocutori sono i bambini questo sforzo di strapparli, seppur per poco, alla quotidianità di macchine, di schermi, di lunghe ore di immobilità nei banchi di scuola e di altre di movimento dettato e guidato dall’adulto, di privazione della noia e dell’ozio, di velocità e di impegni continui, è, infine, qualcosa di profondamente rivoluzionario, che sfida fin dalle sue radici una società creata per il non-uomo. In un’epoca di così grande lontananza da ciò che siamo, di soppressione dei bisogni primari e di corsa al successo individuale, educare all’ambiente, riportare all’ambiente, è quanto di più rivoluzionario si possa immaginare. Riportare gli uomini ad essere Homo, renderli capaci di comprendere, valutare e scegliere nel rispetto della propria natura, riacquisire il senso di comunità e di condivisione scardina alla base il sistema al quale attualmente aderiamo senza alcuno spirito critico e ci da la possibilità di riappropriarci del nostro essere umani. Ricondurre i bambini alla terra, alla possibilità di sporcarsi, di esplorare liberamente il mondo (quello vero), di sentire il vento sul viso e la pioggia sui capelli, di scoprire altre vite, altri fenomeni e altre realtà, di vivere la noia che genera la capacità di inventare, di industriarsi e di organizzarsi, di avere grandi spazi da correre, da rotolare, da scoprire, di cogliere la diversità del mondo e trovarla bella, di sviluppare ricordi felici di giornate indimenticabili, questo si, è rivoluzionario. Ed è una rivoluzione di cui a volte neppure l’educatore stesso è consapevole. Spesso facciamo questo lavoro perché siamo stati bambini felici in natura e oggi vogliamo offrire questa possibilità ad altri, o perché siamo consapevoli delle condizioni di salute di questo nostro pianeta martoriato e abbiamo capito che lo strumento più efficace per porvi rimedio è agire in prima persona sul cambiamento nostro e degli altri ma le ripercussioni più profonde del nostro agire, che operano sulle persone prima ancora che sull’ambiente, ci sfuggono nella loro piena portata. Un bambino al quale siano stati garantiti il diritto di giocare, di sporcarsi, di annoiarsi, di esplorare il mondo, di farsi male, di muoversi e di farlo senza vincoli e senza guide, di diventare indipendente durante tempi e attività non controllati dagli adulti, di avere tempi e luoghi solo per se, in cui gli adulti non ci sono, di rischiare e di comprendere i propri limiti, di scoprire le infinite opportunità di gioco, scoperta e crescita psicofisica offerta dal mondo naturale e di fare tutto questo secondo i propri tempi è un bambino più curioso, più attivo, più consapevole di se stesso e della propria fisicità, più indipendente e più pronto ad affrontare novità e imprevisti. E’, infine, un bambino più felice. E come sarà l’adulto scaturito da un bambino felice?

Questo dunque facciamo: una rivoluzione. E come ogni rivoluzione il fine ultimo è quello di avere una vita più piena e di essere felici.

articolo scritto da Ilaria Cammarata
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